La catena delle mamme impazza su Facebook. E la polizia lancia l’allarme

TRE FOTO per mostrare al mondo la gioia e la bellezza di essere mamma. È l’ultima sfida, lanciata su Facebook da molte donne, che ha riempito newsfeed e bacheche con foto di bambini sorridenti, nella stragrande maggioranza dei casi minori, se non addirittura neonati. Una sfida che si propaga in modo virale: ogni mamma è invitata a nominare a sua volta altre “mamme fantastiche”, chiamate a loro volta a postare le foto dei figli, alimentando una sorta di catena di Sant’Antonio che è diventata, in breve, un vero e proprio caso mediatico. Un fenomeno su cui si è concentrata anche l’attenzione della Polizia Postale, che ha deciso di lanciare un appello dalla sua pagina ufficiale su Facebook con un richiamo ai genitori per far luce sui rischi che una pratica del genere solleva: pedopornografia in primis, ma anche quelli relativi alla svendita della privacy personale, perpetrata ai danni di soggetti ancora inermi e inconsapevoli.
“Mamme. Tornate in voi. Se i vostri figli sono la cosa più cara al mondo, non divulgate le loro foto in Internet. O quantomeno, abbiate un minimo di rispetto per il loro diritto di scegliere, quando saranno maggiorenni, quale parte della propria vita privata condividere. Se questo non vi basta, considerate che oltre la metà delle foto contenute nei siti pedopornografici provengono dalle foto condivise da voi”: queste le indicazioni diffuse su Facebook dalla Polizia di Stato. Una volta postate sui social network, senza adeguate impostazioni di privacy, le immagini dei minori diventano di pubblico dominio, e possono venire manipolate e scambiate in quella che viene definita la “darknet”. Semplificando possiamo definirla come quell’insieme di reti private che usano protocolli di comunicazione non standard, che hanno contenuti non pubblici e non indicizzati dai motori di ricerca tradizionali, su cui si naviga in forma anonima. Qui i dati personali, foto comprese, hanno un valore di scambio molto elevato.
Il post è stato condiviso quasi 10.000 volte, e non ha lasciato di certo indifferenti gli utenti. Qualcuno si è spinto addirittura a paragonare le indicazioni fornite dalle Forze dell’Ordine sulla privacy dei minori a quelle che si possono dare a una ragazza in procinto di uscire la sera: “non mettere la gonna e fatti sempre accompagnare, perché ci sono gli stupratori”. L’accusa è di far ricadere indirettamente la colpa sulle vittime, piuttosto che sui criminali.  Una polemica che ha costretto la Polizia Postale a una precisazione ulteriore, rivelando come una pagina Facebook non ufficiale abbia, nei giorni scorsi, promosso un concorso ufficiale per votare “il bambino più bello” e richiamando l’attenzione dei genitori su una semplice domanda: “Che fine faranno quelle foto?”.
Ma non basta. Il tormentone potrebbe anche essere collegato a una campagna contro il cosidetto “Utero in affitto”, anche se – in realtà – il messaggio e l’obiettivo originario sembra si sia perso dopo le prime condivisioni. Queste mamme rischiano quindi di ritrovarsi loro malgrado ad essere testimonial di un messaggio politico definito, proprio nei giorni in cui il dibattito sulle unioni civili e sulla Stepchild adoption si fa più rovente. Ma gli interrogativi restano. Perché se la nostra identità virtuale tende sempre più a coincidere con la nostra identità reale, la corretta gestione della privacy forse, diventerà presto un compito essenziale, per ciascuno di noi.

TRE FOTO per mostrare al mondo la gioia e la bellezza di essere mamma. È l’ultima sfida, lanciata su Facebook da molte donne, che ha riempito newsfeed e bacheche con foto di bambini sorridenti, nella stragrande maggioranza dei casi minori, se non addirittura neonati. Una sfida che si propaga in modo virale: ogni mamma è invitata a nominare a sua volta altre “mamme fantastiche”, chiamate a loro volta a postare le foto dei figli, alimentando una sorta di catena di Sant’Antonio che è diventata, in breve, un vero e proprio caso mediatico. Un fenomeno su cui si è concentrata anche l’attenzione della Polizia Postale, che ha deciso di lanciare un appello dalla sua pagina ufficiale su Facebook con un richiamo ai genitori per far luce sui rischi che una pratica del genere solleva: pedopornografia in primis, ma anche quelli relativi alla svendita della privacy personale, perpetrata ai danni di soggetti ancora inermi e inconsapevoli.
“Mamme. Tornate in voi. Se i vostri figli sono la cosa più cara al mondo, non divulgate le loro foto in Internet. O quantomeno, abbiate un minimo di rispetto per il loro diritto di scegliere, quando saranno maggiorenni, quale parte della propria vita privata condividere. Se questo non vi basta, considerate che oltre la metà delle foto contenute nei siti pedopornografici provengono dalle foto condivise da voi”: queste le indicazioni diffuse su Facebook dalla Polizia di Stato. Una volta postate sui social network, senza adeguate impostazioni di privacy, le immagini dei minori diventano di pubblico dominio, e possono venire manipolate e scambiate in quella che viene definita la “darknet”. Semplificando possiamo definirla come quell’insieme di reti private che usano protocolli di comunicazione non standard, che hanno contenuti non pubblici e non indicizzati dai motori di ricerca tradizionali, su cui si naviga in forma anonima. Qui i dati personali, foto comprese, hanno un valore di scambio molto elevato.
Il post è stato condiviso quasi 10.000 volte, e non ha lasciato di certo indifferenti gli utenti. Qualcuno si è spinto addirittura a paragonare le indicazioni fornite dalle Forze dell’Ordine sulla privacy dei minori a quelle che si possono dare a una ragazza in procinto di uscire la sera: “non mettere la gonna e fatti sempre accompagnare, perché ci sono gli stupratori”. L’accusa è di far ricadere indirettamente la colpa sulle vittime, piuttosto che sui criminali.  Una polemica che ha costretto la Polizia Postale a una precisazione ulteriore, rivelando come una pagina Facebook non ufficiale abbia, nei giorni scorsi, promosso un concorso ufficiale per votare “il bambino più bello” e richiamando l’attenzione dei genitori su una semplice domanda: “Che fine faranno quelle foto?”.
Ma non basta. Il tormentone potrebbe anche essere collegato a una campagna contro il cosidetto “Utero in affitto”, anche se – in realtà – il messaggio e l’obiettivo originario sembra si sia perso dopo le prime condivisioni. Queste mamme rischiano quindi di ritrovarsi loro malgrado ad essere testimonial di un messaggio politico definito, proprio nei giorni in cui il dibattito sulle unioni civili e sulla Stepchild adoption si fa più rovente. Ma gli interrogativi restano. Perché se la nostra identità virtuale tende sempre più a coincidere con la nostra identità reale, la corretta gestione della privacy forse, diventerà presto un compito essenziale, per ciascuno di noi.

DI DANIELE TEMPERA DI REPUBBLICA

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