Il duro mestiere del coccobello

L’estate non sta finendo, e nemmeno il flusso di venditori abusivi sulla spiaggia di Mondello. Volendo fare una piccola analisi di mercato i prodotti più declamati sono (in ordine di frequenza su un tratto medio di cinquanta metri in un intervallo di tempo di circa cinque minuti che si ripete ininterrottamente per tutto il dì): 1) #coccobello 2) #acquamineralebirraecoca 3) #pollanca 4) #ciambellecaldi 5) #fruttafruttafresca.

Il resto (monili, parei, palloni) viene venduto da alloctoni che, fortunatamente, non urlano e non hanno lo humour dell’ominide palermitano. Osservando il fenomeno ormai da molti anni – osservazioni riferibili ai mesi da giugno a settembre e nelle fasce orarie più disparate, mi chiedo quale sia il guadagno di ciascuno di questi venditori in nero. Camminano avanti e indietro sotto il sole per ore, i loro piedi sono deformati e ormai inspessiti per convergenza adattativa, la loro pelle è di cuoio duro e la loro voce dopo qualche anno diventa come quella del Padrino ricoverato.

Posso affermare con una certa sicumera che questi venditori non autorizzati possono vendere, al massimo, tre acqua, due pollanche, una ciambella, un cocco (media sull’intera stagione). Considerati i danni irreversibili al fisico, le maledizioni reiterate da chi li odia senza mezzi termini (come me), lo scarso guadagno e l’uso spropositato delle rime baciate che già di per sé dovrebbe renderli perseguibili in termini di legge, mi chiedo: perché?

E perché non ci sono vigili urbani addetti ai controlli? Nei locali autorizzati ci sono norme giustamente severe, i venditori da spiaggia vendono in nero cocco allo sputo da urla, pollanche bollite nel male, frutta tagliata sui lapini, ciambelle alla diossina che diventano un tutt’uno con i contenitori di plastica e bibite scadute. Vigili urbani e affini, #doveminchiasiete

Articolo di Chiara Cappadonia per www.dipalermo.it

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